Abitata di memoria. 2020
Gli still-life ‘performativi’ di Renata Petti sono una metafisica dell’immagine, non “immagini metafisiche”. Gli oggetti, le figure trans-corrono nell’oltre-tempo di una sospensione del senso, in associazioni e interazioni spaziali che spostano il visibile sull’orizzonte dell’ignoto, che è sempre colto in una infinità, oltrepassando i confini del reale o destrutturandone il corso e la memoria ordinaria. Quando nel visibile si spezza il senso e in questo “dividersi” si snoda l’impossibilità conoscitiva nel possibile della ‘sorpresa’ del difforme e del in-sensato, allora il pensiero che oscilla nei fantasmi delle cose, sprofonda nel suo stesso enigma. Ciò che vediamo è quello che si vede? Oppure noi vediamo l’ultima soglia dell’immagine, oltre cui o forse sulla quale sorgono le domande che non possono porsi? Come un’origine sfingiaca, l’opera per interrogare lo sguardo deve essere ‘ambigua’, generata sul filo dei paradossi e delle aporie, ‘enigmatica’non per senso ma per costituzione.
Franco Cipriano per MATER NOSTRA